Il dipinto è ispirato alla storia di Giulia Tofana: una fattucchiera e cortigiana, costretta a prostituirsi, per colpa del padre, già all’età di tredici anni. Donna forte ed impulsiva che si aggira nelle pieghe della vita sempre a testa alta, senza mai arrendersi ed affidandosi alle sante patrone di Palermo. Il romanzo è anche una denuncia su quanto le donne abbiano dovuto soffrire per colpa degli uomini e soccombere ad essi, che si tratti di popolane o gran dame poco importa, non hanno mai avuto voce in capitolo; Giulia sarà un po’ la loro paladina, venderà l’acqua Tofana solo ad esse per ridare loro libertà e dignità, infatti per loro l’unico modo di salvarsi era la vedovanza. Accusata e giustiziata nel 1659 per questo, confessò di aver ucciso – o aiutato a uccidere – oltre 600 uomini. La pozione letale si chiamava Acqua Tofana: arsenico, belladonna e piombo erano gli ingredienti principali di un intruglio di cui non si sa altro-.
Inodore e insapore, il veleno veniva venduto ufficialmente come “cosmetico” ma naturalmente le acquirenti lo mescolavano ai cibi o alle bevande da somministrare a padri e mariti.
Dal libro “Giulia Tofana. Gli amori, i veleni ” di Adriana Assini
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